Mercoledì 8 ottobre, il Parlamento europeo in seduta plenaria ha messo al bando l’utilizzo di termini tradizionalmente associati alla carne per i prodotti a base di proteine vegetali. Con 355 voti favorevoli e 247 voti contrari, l’Eurocamera ha accolto l’emendamento presentato dal gruppo dei Popolari europei (Ppe) nell’ambito di discussione di una proposta di regolamento sul rafforzamento della posizione degli agricoltori nella filiera alimentare, presentata dalla Commissione a seguito alle proteste dei trattori degli ultimi anni.
Il testo legislativo approvato a Strasburgo non è ancora definitivo, bensì si tratta di un primo step che potrebbe portare a partire già dal 2028 a un divieto assoluto di utilizzo nei Paesi dell’Unione europea di termini come “burger vegetale”, “salsiccia di tofu” o “scaloppine di soia”, in conformità con l’art. 17 del Regolamento (UE) n.1169/2011 sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori: adesso l’emendamento dovrà essere valutato e discusso dai 27 Ministri dell’Agricoltura degli Stati membri in sede di Consiglio, i quali dovranno definire le denominazioni effettivamente vietate, le modalità di applicazione e le tempistiche.
Il voto favorevole del Parlamento europeo ha origine nel timore ingiustificato da parte della maggioranza di stampo popolare dell’Eurocamera che ritiene che l’impiego di termini provenienti tradizionalmente da alimenti di origine animale per prodotti realizzati con proteine vegetali possa essere fuorviante per i consumatori, i quali rischierebbero di confondersi circa la composizione dei prodotti acquistati.
È più verosimile che il timore della maggioranza europarlamentare e, quindi, dell’industria zootecnica da essa strenuamente difesa, riguardi non tanto il rischio di confusione del consumatore di fronte all’utilizzo di termini meat-sounding per prodotti plant-based, quanto piuttosto la possibilità che la crescente consapevolezza da parte dei cittadini e delle cittadine dell’Unione europea circa la provenienza della carne e il trattamento riservato agli animali dalla filiera spinga a un maggiore consumo di alternative vegetali a discapito della lobby della carne.
Le Associazioni promotrici della campagna “Vote for Animals – Anche gli animali votano” si oppongono con fermezza all’illogica giustificazione della tutela dei consumatori contro una possibile confusione, sostenendo che una trasparente indicazione degli ingredienti nel packaging del prodotto sarebbe stata sufficiente per impedire ai consumatori di essere tratti in inganno.
A margine della votazione, Domiziana Illengo, responsabile area veg di LAV, ha mostrato le sue perplessità:
“È una decisione infondata e anacronistica, e che ricorda da vicino la legge ideologica voluta in Italia dal Ministro Lollobrigida, che vieta le denominazioni “meat-sounding” ma che, sebbene in vigore, è rimasta inapplicata proprio per l’assenza di un corrispettivo quadro normativo europeo: lacuna che, purtroppo, questo voto contribuisce ora a colmare nel senso più restrittivo possibile.”
Già nel 2020 il gruppo dei conservatori europei aveva tentato di vietare l’utilizzo di denominazioni come “burger di soia” o “cotoletta vegetale”, proponendo il cosiddetto “Veggie Burger Ban”, il quale tuttavia fu bocciato dalla maggioranza europarlamentare.
Anche la Corte di Giustizia dell’Unione europea si era già pronunciata sul tema del possibile divieto dell’uso di denominazioni meat-sounding per prodotti di origine vegetale: nell’ottobre 2024, il massimo organo della giustizia europea, chiamato a pronunciarsi in una causa intentata dall’azienda californiana Beyond Meat contro un decreto francese che impediva l’utilizzo di denominazioni tradizionalmente accostate a cibi di origine animale per prodotti plant based ha infatti stabilito che gli alimenti a base vegetale possono continuare a essere venduti e promossi utilizzando termini tradizionalmente associati alla carne, purché la loro composizione sia chiaramente indicata nella confezione, senza che gli Stati membri dell’Ue possano impedirlo.
European Vegetarian Union (EVU), Plant-based Foods Europe, European Alliance for Plant-based Food (EAPF), insieme ad altre organizzazioni del settore plant-based, ritengono che non vi siano dati a supporto della tesi secondo cui l’utilizzo di termini generalmente legati ai prodotti animali per le proteine vegetali possa generare confusione nei consumatori europei.
Il voto dell’8 ottobre rappresenta un enorme passo indietro, ponendosi in contrasto con il Green Deal europeo, la Strategia “Farm to Fork” e le politiche di transizione ecologica: il ban dei termini meat-sounding per i prodotti vegetali non solo non migliorerà la trasparenza, bensì sarà suscettibile di rallentare l’innovazione e la competitività delle imprese europee, le quali saranno costrette a un’onerosa opera di rebranding dei prodotti commerciati: nuove confezioni, nuove etichette, nuove strategie di comunicazione e campagne di marketing, con un impatto economico che può stimarsi in milioni di euro.
Il divieto andrà a colpire proprio quelle imprese che stanno investendo in ricerca, tecnologia e sostenibilità per rendere più efficiente e responsabile il nostro sistema alimentare.
Nonostante la campagna ostruzionista portata avanti con fierezza dalla maggioranza conservatrice dell’Europarlamento, la transizione verso i prodotti vegetali è un fenomeno che non potrà essere arrestato: secondo un report presentato lo scorso anno dall’associazione Good Food Institute, il mercato europeo delle alternative vegetali ha raggiunto i 3,3 miliardi di dollari per le “carni” plant-based e quasi 10 miliardi se si includono i latticini.
Questi dati sono una prova incontestabile che la metamorfosi verso una società più rispettosa degli animali e dell’ambiente è in corso e nessun mezzo dell’industria zootecnica potrà arrestarla.